mercoledì 29 novembre 2017

PAROLE E GESTI IN USO NEL SALENTO NEGLI ANNI 50/60 E RIFLESSIONI PERSONALI SUI SISTEMI EDUCATIVI DELL'EPOCA.



Parole e gesti in uso nel Salento negli anni 50/60 e riflessioni sui sistemi educativi dell’epoca.
Di Russo Giuseppe

Nel mio Salento, capita ancora oggi di vedere, anche se sempre più di rado, gesti o sentir pronunciare parole che hanno il potere magico di trasportarmi, come una macchina del tempo, negli anni  della mia infanzia.

Gesti e parole, ormai quasi in disuso, che sopravvivono miracolosamente alle brutture dei tempi moderni, grazie a pochissime persone, ormai anziane, tenacemente ancorate alle tante "tradizioni" e alle c.d. "buone maniere“ quali condimenti  inprescindibili del vivere quotidiano.

In quegli anni, infatti, era normale, sentir salutare con il “cara cummare” o “caru compare”, “buongiorno”, “salute”, “buon pranzo”, “bona espira”, “San Martino”,”bona sera”, “bona notte” ,bona sorta”, “grazie” ,“prego” ,“scusa” o lasciarsi amichevolmente o familiarmente con un abbraccio o un bacio sulle guance” e così via.

Era altresì normale vedere i più anziani dare esempi di "nobiltà d’animo" e sentimenti elevati, come quello di sollevare dal capo con la mano destra il proprio “cappello” o” la coppola” in segno di saluto o riverenza verso una donna, un'autorità o semplicemente un amico, seguito dal verbale “a ssignuria” o “a lor signori”.
Così come era normale vederli mettersi in piedi, per cedere la sedia a chi ne aveva più bisogno, per salutare o stringersi la mano o per cederla alle persone più anziane o alle donne in gravidanza .

Per i più piccoli poi esisteva un catalogo di gesti e comportamenti da rispettare durante le visite presso altre famiglie: - me raccumandu saluta li cristiani, poi statte cittu e nu ddumandare nienti, ssettate sulla seggia e fanne chianca, se te taune qualche cosa ringrazia do fiate e guai pe ttie se tici ca tieni fame, ma soprattutto tra le mura domestiche l’educazione era la regola principale.

Era normale, per noi piccoli dell’epoca, rivolgere per primi il saluto ai più grandi, rispondere con il “cé cumandi” anteponendo o facendo seguire il “ssignuria” a seconda dei casi,  come il dare del  “Voi” ai genitori e ai nonni era segno di rispetto oltre che di educazione.

Questa forma di linguaggio primordiale, che marcava la distanza di rispetto, con i genitori, gli estranei e le persone più anziane, non permetteva di oltrepassare la misura.

Nessuno osava ribattere alle decisioni dei padri o delle madri o dei nonni con parole oltraggiose o con volgarità, perché il “conto” arrivava sonoro in un battibaleno o dopo poco :- (poi facimu li cunti a casa), lasciando un segno di color porpora sul viso :-(mo ca sciamu a casa te fazzu la facce russa).

Noi bambini degli anni 50/60 eravamo, per i vicini di casa, parenti e anziani del paese, il figlioccio o meglio “ lu sciuscetto” a cui tutti facevano ricorso per l’acquisto del sale, fiammiferi, sigarette, sigari presso il “Fundico” (Tabaccheria del paese),  o per gli acquisti presso il negozietto di alimentari dell’epoca “La puteca” o per piccole commesse o ambasciate di breve o medio raggio.

Questa forma arcaica di utilizzo dei più piccoli da parte degli anziani, per le piccole necessità quotidiane, non veniva vissuta come “sfruttamento” ma era considerato, al contrario, mezzo di educazione al rispetto dei ruoli nella società dell’epoca e, non creava traumi, anzi, aiutava a temperare le responsabilità individuali.
Così come uno scappellotto ricevuto all’occorrenza, non causava danni celebrali irreversibili ma, aiutava a riflettere sull’errore commesso.

Nella società degli anni 50/60 dove le famiglie erano numerose, era poi indispensabile responsabilizzare fin da piccoli i bambini al rispetto delle regole e pertanto, era di rigore, pena punizioni esemplari, rispettare gli orari ricevuti per il rientro a casa (prima te lu Carosellu) o rispettare gli orari di pranzo e cena previa ammonizione (guai a tie se rrivi tardu).

Nei periodi di vacanza o nei pomeriggi dopo la scuola, i ragazzi venivamo avviati ad una sorta di stage formativo.

Infatti, per tenerli lontani dalla strada e dai pericoli connessi all’ozio, i genitori ricorrevano, (con il benestare degli artigiani, a cui veniva anche autorizzato l’uso di mezzi correttivi adeguati) a mandare i ragazzi presso le botteghe di falegnami, fabbri, calzolai, fornai, barbieri, sarti, meccanici, muratori o bar, nelle quali finivano con l’appassionarsi ad un mestiere che avrebbe dato loro “il pane” per la vita e consentito di formare una nuova famiglia.

A scuola le cose non andavano meglio, agli insegnanti era dovuto il massimo rispetto e non vi era possibilità di contravvenire alle loro decisioni o alle regole da loro imposte.

I ragazzi si guardavano bene dal riferire ai genitori delle punizioni ricevute a scuola, (le bacchettate sul palmo della mano o l’essere rimasto per ore in ginocchio sui sassolini dietro una lavagna, i pizzicotti sugli avambracci, le nocche sulla testa, la tirata d’orecchie ecc. ecc.), perché una volta informati i genitori del motivo che aveva scatenato la punizione, il rischio era quello di prendersi una seconda e più severa reprimenda. (la c.d. doppia razione)

Vigeva, tra i genitori, molti dei quali impegnati per molte ore lontano dalle proprie abitazioni e gli educatori, una sorta di tacito accordo per cui era “normale” che gli insegnanti educassero gli alunni, non solo alla formazione culturale, ma anche e soprattutto al rispetto delle regole più banali del vivere civile, con ogni mezzo educativo possibile e ritenuto idoneo di caso in caso.

Sebbene oggi i mezzi educativi, anche grazie alle maggiori conoscenze acquisite nel campo socio-psico-pedagogico siano cambiati in meglio, il ruolo dei genitori sembra essere rimasto indietro con i tempi, infatti, continuano a mancare nel loro ruolo educativo essenziale e continuano ad affidare alla scuola l’insegnamento delle più banali regole del vivere civile.

Con la sola differenza sostanziale, che al contrario di quanto succedeva negli anni 50/60 oggi, i genitori sono iperprotettivi e spesso schierati dalla parte dei figli a cui tutti devono rispetto, compresi gli insegnanti.

Genitori moderni che, essendo spesso assenti per vari motivi, sono protesi al raggiungimento o al mantenimento di un rapporto affettivo ottimale con i propri figli attraverso il soddisfacimento materiale di richieste spesso assurde, inutili e non giustificate da vere necessità oppure, omettendo di applicare a fronte di comportamenti biasimabili, le dovute punizioni, lasciando che i figli facciano un po’quello che vogliono.


Nella società degli anni 50/60 invece, pur osservandosi fattispecie di abuso dei mezzi educativi, correttivi ed eccessi di pretese, i ragazzi, sia i maschietti che le femminucce, avevano un marcato senso di responsabilità nell’affrontare le difficoltà del vivere quotidiano, (come ad esempio, andare e tornare da scuola da soli fin da piccoli, accudire i fratellini, cucinare, lavare i panni, fare la spesa, accudire gli animali, coltivare piccoli orti, aiutare la mamma nelle faccende quotidiane ecc. ecc.) partecipando attivamente ai lavori domestici o a quelli svolti dal nucleo familiare senza ricevere ricompensa alcuna, se non l’abbraccio della mamma o l’affetto di chi gli stava intorno.

Concludendo, non rimpiango i mezzi educativi degli anni 50/60 in quanto la società si è evoluta per certi versi in meglio ma,  come tutte le persone cresciute in quel periodo, noto con dispiacere, una mancanza di  equilibrio e di responsabilità tra il ruolo di genitori, che dovrebbero insegnare ai propri figli la consapevolezza degli obblighi verso la società, e quella dei figli, che dovrebbero capire che non sono dei privilegiati a cui tutto è dovuto, ma che al contrario dovrebbero cercare, facendosi carico dei connessi sacrifici,  di conquistare un ruolo responsabile per sentirsi parti necessarie e indispensabili della società. 
A tutti quei genitori ai quali manca la consapevolezza del ruolo sociale degli insegnanti, consiglio di trasformarsi, con coraggio e intraprendenza, in alleati degli insegnanti e non in loro nemici, perché solo così si diventa alleati e fautori del  miglior futuro per  i figli.

Infine, posso assicurarvi, per aver vissuto personalmente quegli anni, che gli scappellotti ricevuti, (quando mi andava bene), e avevano una ragione, hanno fatto molto...e dico molto…bene.


Giuseppe RUSSO.

giovedì 16 novembre 2017

AMORI D'ESTATE.




Amori d'estate

Fughe veloci verso l'azzurro mare
 mai sazi di sguardi, 
di baci e carezze, 
tra l'odore di scogli 
e un' amica brezza…
che scivola fresca 
sulla pelle arrossata.

Il sole d' agosto, 
i cristalli di sale
e il sapore del mare
 sulle labbra impazienti…
 tra sogni, desideri
 e speranze sussurrate,
che innocenti crescono,
 tra i solchi scavati nel cuore,
come germogli d'amore.





LU MARE LA RAGIONE E LA PACE





LU MARE, LA RAGIONE E LA PACE

Ssittatu me nde stau 'nnanzi allu mare
e  pensu a comu suntu li cristiani,
finchè li servi sinti bravu e bonu
quandu nu lli servi chìui,
 tte cascia nu lampu e tronu!.

Traujate tegnu l’anima e la mente
comu stu mare ca sferza lu punente
pe le parole ntise, mai pisate
e senza nu motivu rrovesciate.

 La lingua muzzicata me sta ddole,
 nun’ha bbulutu ddescia le risposte
cu lle parole te lu stessu pisu,
 ca pe lla verità, sia mmeritate.

Intra allu core l’aggiu mmasunate,
cu steciane luntane… pe la pace!,
ca la verità rria cu la biancata
e spettu cu se calma lu maestrale.

A mare su bbinutu cu lle minu
e allu mare affidu le speranze
cu torna prestu la bella stagione
 e la pace persa…senza 'na ragione.


(traduzione)


IL MARE E LA RAGIONE

Seduto me ne sto davanti al mare
e penso a come sono certe persone,
finché gli servi sei bravo e buono
quando non gli servi più, 
ti colga un lampo e un tuono!.

In subbuglio tengo l'anima e la mente
come il mare che sferza il ponente
per le parole sentite, mai pesate
e senza un motivo vomitate.

La lingua morsicata mi fa male
non ha voluto dare le risposte
con le parole dello stesso peso,
che per la verità, si meritava.

Dentro il cuore le ho accantonate,
per farle stare lontano...per la pace!,
che la verità arriva con il mare piatto (biancata)
e aspetto che si calmi il maestrale.

A mare son venuto per buttarle
e al mare affido le speranze
che torni presto la bella stagione
e la pace persa...senza una ragione.