sabato 20 gennaio 2018

SUTTA ALLU FOCALIRE...TRA CUNTI E CULACCHI.


Sutta allu focalire…tra cunti e culacchi.

Te invernu quandu lu sule straccu
 se nde scìa a ddurmire,
a casa nui vagnoni "nfrizzulati" nde cujimme
cu nde scarfamu annanzi allu focu, sutta allu focalire.

Tutti ssittati subbra all’ancutieddhri
 o subbra alli pisoti,
nde truamme ogni sira, nui niputi,
 cu lli nonni e li vicini sempre ccoti.

Lu nonnu cu llu sigaru toscanu
e la nonna cu lli fierri te ttaccaja,
nu fusu e nu cumitulu te lana
sempre a manu.

Lu nonnu tinja sempre nu cuntu  
o nu fattu curiosu te cuntare
e nui, babbati, lu stimme a sintire.

Te Re, regine, dame e cavalieri 
nde novellava l’avventure.
Nde cuntava te scazzamurieddrhi dispettusi,
 te striare ca ddintane musci niuri
e faciane le fatture.

Nde cuntava te misteriose acchiature
scuse intra castieddhru, 
cu mille trabochetti
e cu strane serrature.

Te le scorribande te li Turchi rriati te lu mare
e te li passaggi segreti, usati te la gente
 ca scappava cu sse salva,
truati e ancora te truare.

La guerra, l’affondamento, la prigionia,
 la fame e la liberazione,
erane l’argomenti chiù richiesti
te tutta la stagione.

E quandu lu nonnu stia te sciana,
 cu fazza cu rritimu,
nde cuntava li culacchi te Papacajazzu
 e facia te risi nde pisciamu.

La soluzione te l’indovinellu 
chiudia na serata bella,
e ci lu indovinava
 incija na caramella.

Ardìa lu focu e quandu sfavillava
la nonna nde ticja, 
ca era qualche anima innocente
ca salia a ncelu e nde lassava.

Quandu nvece lu tizzune sfumicava e fiscava,
 rivolta allu nonnu li ticja...
ca ‘nc’era qualche "bona cristiana"
ca sta ndè murmurava.

Cusì passamme nui vagnoni te invernu le serate,
  sutta allu focalire, cu l’amore te li nonni,
li cunti, li culacchi, li pigni muddhrisi rrustuti, 
te paru a na francata te ciciri e do fae siccate.




(Traduzione)

Sotto il focolare…tra fiabe e racconti.

D’ inverno quando il sole stanco si tuffava nel mare
 e  andava a dormire,
in casa, infreddoliti, noi bambini ci riscaldavamo
vicino al fuoco sotto il focolare.

Tutti seduti sopra gli sgabelli o su pietre squadrate,
ci trovavamo ogni sera, noi nipoti, 
 con i nonni riuniti.

Il nonno con il sigaro toscano
e la nonna con i ferri per il lavoro a maglia,
un fuso o un gomitolo di lana
sempre in mano.

Il nonno aveva sempre qualche avventura
o un fatto curioso da raccontare
e noi, volando con la fantasia, meravigliati e composti
lo stavamo ad ascoltare.

Di Re, regine, dame e cavalieri ci novellava 
 le mille avventure.
Ci raccontava di folletti dispettosi,
 di streghe che diventavano gatti neri
e facevano le fatture.

Ci raccontava di misteriosi tesori
nascosti dentro al castello, 
protetti con mille trabocchetti
e da strane serrature.

Di invasioni dei Turchi arrivati dal mare
e di passaggi segreti usati dalla gente in fuga per salvarsi,
trovati o ancora da trovare.

La guerra, l’affondamento, la prigionia, la fame e la liberazione,
erano gli argomenti più richiesti
di tutta la stagione.

E quando il nonno stava di buona vena, 
per farci rallegrare 
ci raccontava le storielle di Papa Galeazzo 
e ci faceva di risate scompisciare.

La soluzione di un indovinello 
chiudeva una serata bella
e chi lo indovinava
 vinceva una caramella.

Ardeva il fuoco e quando sfavillava
la nonna ci diceva, 
che era qualche anima innocente
che saliva in cielo e ci lasciava.

Quando invece il tizzone fumicava e fischiava,
diceva, rivolta al nonno,
che c’era qualche "buona donna"
che stava maldicendo.

Così passavamo noi ragazzi di inverno le serate,
  sotto il camino
con l'amore dei nonni, le fiabe, i racconti curiosi,
le pigne da pinoli abbrustolite insieme ad 
 un pugno ceci e le  fave secche.


Questa era la realtà del mio piccolo paese, dove ci si conosceva tutti, quando ancora non c’era il televisore, che intratteneva grandi e piccini.
Nelle fredde e piovose serate d’inverno, ci si riuniva intorno al focolare e oltre a raccontare i fatti del giorno si programmavano le attività del giorno seguente, dove tutti grandi e piccini, maschi e femmine avevano un ruolo specifico da svolgere, nella fioca luce di una stanza, affumicata.
Nelle calde serate d’estate, invece, ci si riuniva con i vicini fuori nella “corte” o in piccolo spiazzo davanti un gruppo di abitazioni dove, si consolidavano le famiglie, le amicizie le parentele e col piacevole sottofondo di grilli, i bambini si addormentavano felici, tra le braccia della mamma, ascoltando le nonne e i nonni raccontare qualche “cuntu” o "culacchiu". 

Purtroppo adesso non si trova più il tempo nemmeno per dialogare, comunicare tra componenti della stessa famiglia, altro che piacevoli momenti di relax e intrattenimento, ci stiamo egoisticamente isolando dalla realtà immergendoci in un mondo virtuale, progettato e costruito ad arte, per soggiogare e pilotare le masse.
Dal web:
 "Cunti" e  "Culacchi" nella tradizione Salentina.

La tradizione salentina vanta la presenza di molti elementi che la caratterizzano. Alcuni sono reali, tangibili, altri sono racchiusi nel cuore degli uomini e vengono tramandati oralmente. Dei costumi appartenenti a quest'ultima categoria fanno parte i "cunti" e i "culacchi". Se analizziamo le due parole dialettali, vedremo che la prima corrisponde al termine italiano "racconto" e la seconda significa "curiosità". li "cunti" potremmo paragonarli alle fiabe e alle favole, ragion per cui sono rivolti soprattutto ai bambini. 

Portatori di alti valori morali e ricchi di insegnamenti, trattano i temi della favolistica occidentale: la lotta tra il bene e il male, gli animali parlanti, le principesse prigioniere, la sconfitta dell'orco cattivo, e via dicendo.

Nel passato, durante i freddi e bui pomeriggi d'inverno, mentre fuori soffiava un vento che raggelava il sangue, il nonno chiamava a rapporto i suoi nipotini. Tutti seduti intorno al grande focolare, ascoltavano attentamente le favole che il vecchio saggio raccontava loro. 

Attraverso il gioco, i piccoli avrebbero imparato cose importanti. Il nonno, difatti, servendosi di una bella fata, di un lupo famelico o di una volpe furba, avrebbe fornito delle lezioni di vita fondamentali per la giusta crescita dei giovani marmocchi. I bimbi facevano volare la fantasia lontano da lì e si sentivano essi stessi protagonisti della favola. 

Se il narratore era convincente, il racconto poteva durare anche delle ore. I piccoletti, infatti, ogni qualvolta egli terminava una fiaba, chiedevano il "bis", il "tris" e il "quatris". Mamme e papà, a questo punto, dovevano inventare qualche stratagemma per convincere i propri figli a lasciare quei mondi incantati, quei castelli splendenti e quei principi azzurri e prendere la strada del letto. Ma l'impresa non era sempre facile. 

I "culacchi", invece, rivolti solitamente ad un pubblico adulto, si possono paragonare alle moderne barzellette. Spesso traggono spunto da un fatto realmente accaduto, altre volte descrivono un personaggio un po' maldestro, altre ancora denunciano delle situazioni poco felici. 


Sicuramente sono il pane quotidiano di coloro che, durante una partita a briscola al circolo cittadino, davanti a un caffè al bar della piazza o nelle pause del lavoro, cercano di liberare un po' la mente parlando di fatti altrui. 

Principe incontrastato dei "culacchi" di Terra d'Otranto è certamente Papa Galeazzo, vissuto presumibilmente tra il Cinquecento e il Seicento, autore di numerosi fatterelli divertenti. Non si sa se sia realmente esistito o se sia soltanto un'invenzione, è certo, però, che la sua figura fa parte della tradizione culturale salentina da molti secoli.

Antonio e Donato Benegiamo hanno raccolto in un libro più di cinquanta tra "cunti" e "culacchi" in dialetto cutrofianese.

"
Quisti èranu toi, maritu e mujere, ca scìanu 
su llu sciarabbà. 
Strada facendu loru ssera nnanzi li bricanti. 
-O la borza o la vita!- cumandara. 
Lu maritu sottavoce a lla mujere: - Mmenu male 
Vita mia, comu è bbenuta, ca me la critia pesciu: a ttie vòlanu, sscindi! 

Marito e moglie stavano sul carretto. 
Strada facendo furono assaliti dai 
briganti.
-O la borsa o la vita! - intimarono.

Il marito disse sottovoce alla moglie: - Meno male, Vita mia, 
come ci è venuta, credevo peggio: vogliono te, scendi!" 

Nessun commento:

Posta un commento